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IL MIO NOME È JOE
(MY NAME IS JOE)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 15 maggio 1998
 
di Ken Loach, con Peter Mullan, Louise Goodall, Gary Lewis, David McKay (Gran Bretagna, 1998)
 
Alla mediocrità ci si adatta; ma sulla qualità ci si adagia.

Il rischio, con un film come MY NAME IS JOE, è di considerarlo un altro bel filmetto del maestro del realismo inglese. Un simpatico, tragicomico, commovente spaccato di vita, come tutti gli altri che lo hanno preceduto. Di assistere alle piccole-grandi gioie e relative disgrazie del Joe del titolo come a quelle di altri protagonisti, tutti più o meno simili. Perché Joe, come i personaggi di RIFF-RAFF o di RAINING STONES, tira a campare nelle stesso genere di cittadina di provincia tutta pub ed uffici di collocamento (anche se qui siamo nella periferia di Glasgow) che il regista vi fa vivere come se ci foste nati. Di assistere alla stessa disoccupazione, agli stessi affetti e magagne famigliari, i buoni ed i cattivi che si potrebbero anche intercambiare, mai totalmente buoni o del tutto cattivi come invece nel 99 percento delle idiozie che ci propina il cinema (uno dei grandi meriti del film è di mostrarci il cattivo egualmente intrappolato nella faccenda delle sue vittime), mai buoni o cattivi semplicemente perché il problema, per Ken Loach, non sta proprio li.

È vero che i suoi film - 30 anni e passa ci separano ormai da KES o da FAMILY LIFE - si seguono e si assomigliano; salvo quando il regista cerca di cambiare, ma allora i suoi film scendono di un gradino come quello sulla guerra di Spagna, TERRA O LIBERTÀ o l'ultimo CARLA'S SONG. E sarà forse anche vero, come dice qualcuno, che con il naturalismo si può commuovere, si può fare cosa utile socialmente e politicamente, ma non volare, trasfigurati, nelle stratosfere poetiche, metafisiche dei Fellini, dei Bergman, degli Angelopulos.

Ma è pur vero che il cinema - arte popolare, di fruizione collettiva per eccellenza - deve toccare la gente; e deve agire sulla società. Ed in questo senso, anche se l'inizio del film può fare temere il peggio, MY NAME IS JOE è un'opera esemplare.

Il peggio, perché la comicità iniziale (Joe, ex-alcolista, è l'allenatore della più sgangherata squadra di calcio della città), oppure un sospetto di "buonismo" (Joe è diventato un individuo di un altruismo quasi eccessivo; che lo metterà nei pasticci quando si tratterà di aiutare una giovane e disgraziata coppia di drogati, ricattata dagli spacciatori locali) avviano il film su una strada che appare segnata.

Ma è senza contare sul genio di Loach. E, questa volta, su quello straordinario della sua scrittura.

Perché, se JOE è filmato come sempre benissimo (attori scozzesi a noi sconosciuti, straordinari di verità; ambienti che entrano nella pelle assieme al proseguire della vicenda) è sul piano della sceneggiatura di un film cosi semplice, elementare, quasi dimostrativo che appare tutta la forza dell'autore. Quella che conduce tutti i personaggi, indistintamente, ai piedi di quel muro che da sempre Loach cerca di abbattere: la logica spietata di un sistema, l'ineluttabilità di una meccanica, di un condizionamento sociale, politico che conduce l'individuo volonteroso come quello più fragile o addirittura perverso all'impotenza. Cosa posso fare?, "no fucking choice" è la frase ricorrente di MY NAME IS JOE. Come in un labirinto infernale, i personaggi, gli avvenimenti quotidiani, come sempre commoventemente umani, credibili vengono condotti, obbligati, assieme a noi spettatori del film, a confrontarci con l'assenza della soluzione. L'impossibilità per l'uomo semplice - per quello che è solo con la propria buona volontà, come per quello che si illude di essere meno solo con la propria arte di arrangiarsi - di uscire dal guado.

È un grido disperato, che Ken Loach sa esprimere con quel suo modo inimitabile di fondere il riso con le lacrime, che compie il prodigio di fondere la poesia dell'analisi umana alla lucidità dell'azione politica. Un grido che rende inguardabile, nel degradare della sua futilità consumistica, tutto il cinema che gli sta attorno.


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